Il termoclino divide le acque di superficie soggette alle variazioni climatiche da quelle di profondità che sono a temperatura fissa. Quando le acque di superificie diventano più fredde di quelle profonde queste ultime risalgono modificando la profondità del termoclino. A seguito di un'immersione subacquea ho iniziato questo progetto. Le acque di profondità rappresentano per me gli eventi passati, la storia e l'ideale mentre le acque di superficie il presente e il reale.
CENTERS THERMOCLINE di Domenico Russo
Talvolta nel mare si viene a creare uno strato di transizione tra la zona di rimescolamento di superficie e quella delle acque profonde, è il termocilino. Una fascia d’acqua con temperatura bassissima che influisce sugli stati percettivi degli esseri che, da entrambe le parti, guardano attraverso cercando un’interazione. I suoni rimbalzano e tornano in dietro, la visione complessiva di quanto si trova oltre è falsata da uno stato di mutazione sensoriale disorientante, che non condiziona esageratamente le relazioni tra chi vive nella stessa metà, ma che influirebbe sul giudizio di quanto si osserva oltre il termoclino. Che cosa abbiamo, quindi, veramente di fronte? L’acquisizione d’informazioni, l’interazione e la comunicazione tra le parti, gli elementi che si osservano agli antipodi, tutto è sottoposto a un “rischio” da questa specie di velo, di staccionata marina, da questa striscia dall’ampiezza variabile che separa e allo stesso tempo unisce alle proprie regole.
Adriano Annino s’è immerso nelle profondità del mare, avvicinandosi al Termoclino, calandosi man mano anche nell’estraniante atmosfera del buio dei rapporti umani e delle relazioni nel mondo dell’arte. Lontano dal sole, respirando artificialmente, nuotando via dalla vita sociale, centimetri e poi metri verso il fondo, ha fatto della distanza dalla superficie la lunghezza percorribile ad ampie bracciate tra le maschere lubrificate delle relazioni individuali. L’artista s’è eclissato dal mondo civile nel mondo marino, un abbandono che è un risveglio, per ritornarci con una diversa capacità d’osservazione. Grazie a un processo di dispersione e riappropriazione del soggetto, l’impulso a dipingere s’è sprigionato irrefrenabile sulla tela dando forma e materia a una sostanza di flebile, inavvertibile ma permeante presenza.
Nell’intento di trasportare la sensazione d’isolamento dell’uomo nel mare sulla tela, tutta l’esperienza naturale e corporea s’inclina alle riflessioni sull’isolamento dell’individuo tra la gente, sulla creazione artistica e sul ruolo conferito all’artista stesso dall’ambiente dove esso lavora, si muove, nuota. In un famoso discorso di David Foster Wallace, un pesce anziano risalendo la corrente chiede “com’è l’acqua” a due giovani pesci che, scambiandosi sguardi meravigliati, si domandano di cosa stesse parlando. Annino ci chiede “com’è l’arte oggi” e “com’è la nostra vita”. E, soprattutto, quanto siamo in grado di rispondere a questi quesiti. La chiarezza è fuori, dice Annino, con ciò che è disponibile ancora, e dentro, con ciò che è rimasto e che a volte condiziona e imbarazza ma non per sempre.
Fino a che punto il termoclino ci avvolge alterando la percezione dell’altro: uno strato invisibile dall’attitudine lisergica ci circonda, lo stesso, riadattato a proprio vantaggio, rende le opere di Annino sguardi attraverso. Punti di rielaborazione. Camere iperbariche di confluenza d’istanze personali, sociali e ideologiche, allestite tra il visibile e l’esistente, oramai scissi nella nostra epoca da un progresso tecnologico inarrestabile. Luoghi dove l’artista ritenta la congiunzione tra le due parti.
Da una parte le apparenze e le sembianze nell’immensa arena dello spettacolo cui nessuno è sottratto, dall’altra la natura nascosta d’ogni cosa; per fare di ogni soggetto l’essere unico che è, Annino scavalca se stesso, oltrepassa il termoclino per tentare di risistemare col proprio atto creativo il modo di apparire.